Norme armonizzate direttiva strumenti di misura / Settembre 2025
ID 24635 | 25.09.2025
Decisione di esecuzione (UE) 2025/1939 della Commissione, del 24 settembre 2025, che modifica la decisione di esecuzione (UE) 2021/1402 per quanto riguarda le norme armonizzate per i contatori di calore redatte a sostegno della direttiva 2014/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio
GU L 2025/1939 del 25.9.2025
Entrata in vigore: 25.09.2025
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LA COMMISSIONE EUROPEA,
visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
visto il regolamento (UE) n. 1025/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, sulla normazione europea, che modifica le direttive 89/686/CEE e 93/15/CEE del Consiglio nonché le direttive 94/9/CE, 94/25/CE, 95/16/CE, 97/23/CE, 98/34/CE, 2004/22/CE, 2007/23/CE, 2009/23/CE e 2009/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la decisione 87/95/CEE del Consiglio e la decisione n. 1673/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, in particolare l’articolo 10, paragrafo 6,
considerando quanto segue:
(1) Conformemente all’articolo 14 della direttiva 2014/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, gli strumenti di misura che sono conformi alle norme armonizzate o a parti di esse i cui riferimenti sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea sono considerati conformi ai requisiti essenziali di cui all’allegato I e agli allegati specifici di tale direttiva per ciascuno strumento oggetto di tali norme o parti di esse.
(2) Con decisione di esecuzione C(2015) 8558 (3) la Commissione ha presentato al Comitato europeo di normazione (CEN), al Comitato europeo di normazione elettrotecnica (Cenelec) e all’Istituto europeo per le norme di telecomunicazione (ETSI) una richiesta di redazione, revisione e completamento del lavoro sulle norme armonizzate a sostegno della direttiva 2014/32/UE per alcuni strumenti di misura («richiesta»).
(3) In base alla richiesta, il CEN ha redatto le seguenti norme armonizzate sui contatori di calore: EN 1434-1:2022 Contatori di calore - parte 1: Requisiti generali, EN 1434-2:2022 Contatori di calore - parte 2: Requisiti costruttivi, EN 1434-4:2022 Contatori di calore - parte 4: Prove per l’approvazione del modello, EN 1434-5:2022 Contatori di calore - parte 5: Prove per la verifica prima e EN 1434-6:2022 Contatori di calore - parte 6: Installazione, messa in servizio, controllo e manutenzione.
(4) La Commissione, insieme al CEN, ha valutato se le norme armonizzate EN 1434-1:2022, EN 1434-2:2022, EN 1434-4:2022, EN 1434-5:2022 e EN 1434-6:2022 siano conformi alla richiesta.
(5) Le norme armonizzate EN 1434-1:2022, EN 1434-2:2022, EN 1434-4:2022, EN 1434-5:2022 e EN 1434-6:2022 soddisfano i requisiti essenziali cui intendono riferirsi e che sono stabiliti nella direttiva 2014/32/UE. È pertanto opportuno pubblicare i riferimenti di tali norme nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
(6) Nell’allegato I della decisione di esecuzione (UE) 2021/1402 della Commissione (4)figurano i riferimenti delle norme armonizzate che conferiscono una presunzione di conformità alla direttiva 2014/32/UE. Per garantire che i riferimenti delle norme armonizzate redatte a sostegno della direttiva 2014/32/UE siano elencati in un unico atto, i riferimenti delle norme armonizzate EN 1434-1:2022, EN 1434-2:2022, EN 1434-4:2022, EN 1434-5:2022 e EN 1434-6:2022 dovrebbero essere inclusi in tale allegato.
(8) La conformità alle norme armonizzate conferisce una presunzione di conformità ai corrispondenti requisiti essenziali di cui alla normativa di armonizzazione dell’Unione a decorrere dalla data di pubblicazione del riferimento di tale norma nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. È pertanto opportuno che la presente decisione entri in vigore il giorno della pubblicazione,
Regolamento sanzioni violazioni degli obblighi di transizione digitale
ID 24610 | 18.09.2025 / In allegato
Regolamento recante le procedure di contestazione, accertamento, segnalazione e irrogazione delle sanzioni per le violazioni degli obblighi di transizione digitale.
Provvedimento n. 190/2025 - Approvazione del Regolamento recante le procedure di contestazione, accertamento, segnalazione e irrogazione delle sanzioni per le violazioni degli obblighi di transizione digitale di cui all’art. 18-bis del Codice dell’amministrazione digitale.
Art. 18-bis (Violazione degli obblighi di transizione digitale)
1. L'AgID esercita poteri di vigilanza, verifica, controllo e monitoraggio sul rispetto delle disposizioni del presente Codice e di ogni altra norma in materia di innovazione tecnologica e digitalizzazione della pubblica amministrazione, ivi comprese quelle contenute nelle Linee guida e nel Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione, e procede, d'ufficio ovvero su segnalazione del difensore civico digitale, all'accertamento delle relative violazioni da parte dei soggetti di cui all'articolo 2, comma 2. Nell'esercizio dei poteri di vigilanza, verifica, controllo e monitoraggio, l'AgID richiede e acquisisce presso i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, dati, documenti e ogni altra informazione strumentale e necessaria. La mancata ottemperanza alla richiesta di dati, documenti o informazioni di cui al secondo periodo ovvero la trasmissione di informazioni o dati parziali o non veritieri è punita ai sensi del comma 5, con applicazione della sanzione ivi prevista ridotta della metà.
2. L'AgID, quando dagli elementi acquisiti risulta che sono state commesse una o più violazioni delle disposizioni di cui al comma 1, procede alla contestazione nei confronti del trasgressore, assegnandogli un termine perentorio per inviare scritti difensivi e documentazione e per chiedere di essere sentito.
3. L'AgID, ove accerti la sussistenza delle violazioni contestate, assegna al trasgressore un congruo termine perentorio, proporzionato rispetto al tipo e alla gravità della violazione, per conformare la condotta agli obblighi previsti dalla normativa vigente, segnalando le violazioni all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari di ciascuna amministrazione, nonché ai competenti organismi indipendenti di valutazione. L'AgID pubblica le predette segnalazioni su apposita area del proprio sito internet istituzionale.
4. Le violazioni accertate dall'AgID rilevano ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comportano responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 13-bis, 50, 50-ter, 64-bis, comma 1-quinquies, del presente Codice e dall'articolo 33-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.
5. In caso di mancata ottemperanza alla richiesta di dati, documenti o informazioni di cui al comma 1, ultimo periodo, ovvero di trasmissione di informazioni o dati parziali o non veritieri, nonché di violazione degli obblighi previsti dagli articoli 5, 7, comma 3, 41, commi 2 e 2-bis, 43, comma 1-bis, 50, comma 3-ter, 50-ter, comma 5, 64, comma 3bis, 64-bis del presente Codice, dall'articolo 65, comma 1, del decreto legislativo 13 dicembre 2017, n. 217 e dall'articolo 33-septies, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ove il soggetto di cui all'articolo 2, comma 2, non ottemperi all'obbligo di conformare la condotta nel termine di cui al comma 3, l'AgID irroga la sanzione amministrativa pecuniaria nel minimo di euro 10.000 e nel massimo di euro 100.000. Si applica, per quanto non espressamente previsto dal presente articolo, la disciplina della legge 24 novembre 1981, n. 689. I proventi delle sanzioni sono versati in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati allo stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze a favore per il 50 per cento dell'AgID e per la restante parte al Fondo di cui all'articolo 239 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.
6. Contestualmente all'irrogazione della sanzione nei casi di violazione delle norme specificamente indicate al comma 5, nonché di violazione degli obblighi di cui all'articolo 13-bis, comma 4, l'AgID segnala la violazione alla struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale che, ricevuta la segnalazione, diffida ulteriormente il soggetto responsabile a conformare la propria condotta agli obblighi previsti dalla disciplina vigente entro un congruo termine perentorio, proporzionato al tipo e alla gravità della violazione, avvisandolo che, in caso di inottemperanza, potranno essere esercitati i poteri sostitutivi del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato. Decorso inutilmente il termine, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, valutata la gravità della violazione, può nominare un commissario ad acta incaricato di provvedere in sostituzione. Al commissario non spettano compensi, indennità o rimborsi. Nel caso di inerzia o ritardi riguardanti amministrazioni locali, si procede all'esercizio del potere sostitutivo di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
7. L'AgID, con proprio regolamento, disciplina le procedure di contestazione, accertamento, segnalazione e irrogazione delle sanzioni per le violazioni di cui alla presente disposizione.
8. All'attuazione della presente disposizione si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie già previste a legislazione vigente.
8-bis. Le disposizioni del presente articolo trovano applicazione in tutti i casi in cui l'AgID esercita poteri sanzionatori attribuiti dalla legge.[/panel]
Decreto Legislativo 14 giugno 2011 n. 104 Attuazione della direttiva 2009/15/CE relativa alle disposizioni ed alle norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime.
(GU n.159 del 11.07.2011) _________
Aggiornamenti atto:
03/12/2015 DECRETO LEGISLATIVO 12 novembre 2015, n. 190 (in G.U. 03/12/2015, n.282) - Consolidato 09.2025
Linee guida e modello relazioni resilienza dei soggetti critici
ID 24578 | 12.09.2025 / In allegato
Comunicazione della Commissione - Linee guida e modello per la presentazione delle relazioni elaborati dalla Commissione a norma dell’articolo 5, paragrafo 5, dell’articolo 6, paragrafo 6, e dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2022/2557 relativa alla resilienza dei soggetti critici
GU C/2025/4990 del 12.9.2025
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La direttiva (UE) 2022/2557 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla resilienza dei soggetti critici («direttiva») mira a garantire che i servizi essenziali per il mantenimento di funzioni vitali della società o di attività economiche siano forniti senza impedimenti nel mercato interno. La direttiva rafforza la resilienza dei soggetti critici che forniscono tali servizi e crea un quadro generale di resilienza dei soggetti critici rispetto a tutti i rischi (naturali e di origine umana, accidentali e intenzionali).
Per conseguire un livello elevato di resilienza, la direttiva impone agli Stati membri taluni obblighi. La Commissione è stata incaricata di elaborare raccomandazioni, linee guida non vincolanti e un modello comune volontario per la presentazione delle relazioni al fine di sostenerli nell’adempimento di alcuni di tali obblighi. Nello specifico, la presente comunicazione dà attuazione all’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva per quanto riguarda lo sviluppo di un modello per la comunicazione di determinate informazioni alla Commissione, all’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva per quanto riguarda l’elaborazione di raccomandazioni e linee guida volte ad aiutare gli Stati membri a individuare i soggetti critici e all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva per quanto riguarda l’adozione di linee guida volte ad agevolare l’applicazione dei criteri per determinare la rilevanza degli effetti negativi, tenendo conto delle informazioni che gli Stati membri sono tenuti a comunicare a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva.
Prima dell’adozione della presente comunicazione, conformemente alle disposizioni summenzionate, sono stati consultati gli Stati membri nel corso di un seminario tenutosi il 3 e il 4 ottobre 2024 e il gruppo per la resilienza dei soggetti critici il 12 febbraio 2025. Ulteriori consultazioni bilaterali dei delegati del gruppo per la resilienza dei soggetti critici si sono svolte per iscritto nel marzo 2025 e una versione aggiornata è stata condivisa con tale gruppo il 7 aprile 2025.
La presente comunicazione non è giuridicamente vincolante e non pregiudica l’interpretazione del diritto dell’UE da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Codice della Navigazione / Aereonautica - V. ENAC 2006
ID 24576 | 11.09.2025 / In allegato Versione ENAC
Nel 2005 è stata approvata la riforma del Codice della Navigazione, e più precisamente la modifica della sua parte aeronautica: un passo ormai non più rimandabile, se si pensa che il testo precedente risaliva al 1942 (Regio Decreto 30 marzo 1942 n. 327) ed era naturalmente inadeguato all’odierno scenario del trasporto aereo. La riforma, sancita dal Decreto Legislativo 96/2005, ha affrontato i nodi cruciali dell’aviazione civile italiana: le fonti normative, gli aeroporti e le gestioni aeroportuali, il regime amministrativo dei mezzi, le funzioni di polizia, i servizi aerei ed aeroportuali, le responsabilità dei soggetti operanti nel settore. Di conseguenza il nuovo Codice ha dato all’Enac la possibilità di assolvere più fluidamente i suoi compiti, nel pieno rispetto della normativa comunitaria e internazionale.
Tra le novità introdotte va segnalata innanzitutto l’individuazione di un’unica autorità di vigilanza, identificata espressamente nell’Enac, con la separazione fra le attività di regolazione, controllo e certificazione da un lato, e la fornitura di servizi di navigazione aerea, affidata ad Enav SpA, dall’altro.Viene poi introdotta una disciplina più esaustiva per quanto riguarda gli aeroporti e le concessioni di gestione totale (queste ultime non previste nell’impianto normativo del 1942). Il Codice ora prevede la definizione delle funzioni principali del gestore aeroportuale, che deve essere adeguatamente certificato dall’autorità unica; inoltre le funzioni di polizia e di vigilanza che il vecchio testo attribuiva al Direttore di aeroporto vengono ora assorbite direttamente dall’Enac.
Il nuovo Codice affronta la problematica dell’impatto ambientale, con particolare riguardo ai vincoli alla proprietà privata nelle zone limitrofe agli aeroporti e all’inquinamento acustico: questioni sempre più urgenti, considerando l’escalation del traffico aereo registrata negli ultimi decenni. Al fine di tutelare in maniera più efficace i diritti del passeggero, si obbligano inoltre i vettori a pubblicizzare adeguatamente gli accordi di natura commerciale stipulati fra più compagnie aeree (come ad esempio il code sharing) e ad adottare procedure trasparenti per le liste d’attesa.
Il nuovo testo di legge rinnova e semplifica radicalmente anche la disciplina amministrativa relativa agli aeromobili e ai titoli professionali aeronautici; da sottolineare infine la revisione generale della normativa in materia di servizi e di contrattualistica, con adeguamento ai dettati comunitari con speciale riguardo al contratto di trasporto aereo.
Nel 2006 è stata apportata una nuova modifica alla parte aeronautica del Codice della Navigazione con il Decreto Legislativo 151/2006. ... Segue allegato
ENAC
Vedi il testo consolidato Codice della Navigazione
L’obbligo di diagnosi energetica ai sensi dell’Art. 8 comma 1 e 3 del D.Lgs 102/2014 / ENEA Giugno 2025
ID 24557 | 09.09.2025 / In allegato
L’obbligo di diagnosi energetica ai sensi dell’Art. 8 comma 1 e 3 del D. Lgs. 102/2014: le risultanze dell’adempimento normativo alla scadenza del dicembre 2024.
Il rapporto presenta i risultati dell’obbligo di diagnosi per grandi imprese ed imprese energivore al dicembre 2024, ai sensi dell’Art. 8 del D. Lgs. 102/2014.
Sono riportate all’interno l’analisi e la suddivisione delle diagnosi pervenute ad ENEA tramite il Portale Audit102, i consumi per codice ATECO, per categoria di soggetto obbligato e per tipologia di impresa, l’analisi del potenziale di efficientamento riportato nelle diagnosi, sia in termini di interventi realizzati che di interventi programmati, un focus su tutti i siti dotati di ISO 50001.
Attenzione viene anche data ai redattori delle diagnosi, con un focus su EGE ed ESCO.
Concludono il rapporto le schede regionali, con tutti i dati esplosi regione per regione, e un focus sull’aggiornamento normativo nel corso del 2024, relativo alle diagnosi energetiche.
Autorizzazione di deroga per l’immatricolazione di veicoli in fine serie, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del Regolamento UE 2018/858, per le categorie internazionali M, N ed O, aventi un’omologazione non più valida ai fini immatricolativi applicando il regolamento (UE) 2025/1122.
CP Sez. 5 n. 28613/2025 - Videosorveglianza nascosta sul posto di lavoro: ammessa in presenza di fondati sospetti di furto
ID 24436 | 17.08.2025 / In allegato
Cassazione Penale Sez. 5 del 05 Agosto 2025 n. 28613 - Furto continuato commesso dal dipendente: lecita l’installazione di telecamere nascoste se rivolte a controllare un lavoratore nei confronti del quale ci siano validi sospetti di comportamenti illeciti. __________
Cassazione Penale Sez. 5 del 05 Agosto 2025 n. 28613 Composta da Dott. CATENA Rossella - Presidente Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. OCCHIPINTI Andreina - Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teresa - Relatore Dott. CAVALLONE Luciano - Consigliere __________
SENTENZA
Fatto
1. È impugnata la sentenza della Corte di appello di Lecce - sez. distaccata di Taranto, che, in accoglimento dell'appello del Pubblico ministero e della parte civile agli effetti civili, ha riformato l'assoluzione, per insussistenza del fatto, di A.A. per il delitto di furto continuato aggravato dalla destrezza, dalla relazione di prestazione d'opera e dall'aver cagionato un danno di rilevante gravità, e l'ha condannata alla pena di giustizia, oltre alla condanna generica al risarcimento del danno con liquidazione di una provvisionale di Euro 5.000 e alle pene accessorie.
1.1. Alla ricorrente è contestato di aver reiteratamente sottratto, con mosse repentine, banconote dal registratore di cassa della farmacia presso cui lavorava, in occasione dell'apertura del cassetto per le operazioni di pagamento dei clienti o di cambio di moneta, per il complessivo importo di Euro 115.422,46, nonché di avere sottratto prodotti farmaceutici per il valore complessivo di 7.000 euro, condotta protrattasi nell'arco di circa tre anni.
2. Ricorre per cassazione l'imputata, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato Roberto Tartaro, che svolge nove motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione degli artt. 576 e 593 cod. proc. pen. per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto ammissibile l'appello del Pubblico ministero, graficamente reiterativo dei motivi articolati dalla parte civile, censura ignorata dal la Corte di appello nel provvedimento impugnato.
2.2. Erronea applicazione degli artt. 191 e 189 cod. proc. pen. e correlati vizi della motivazione, contraddittoria e illogica quanto alla ritenuta utilizzabilità delle immagini captate tramite l'impianto di video-sorveglianza situato all'interno della farmacia. Si sostiene trattarsi di vere e proprie intercettazioni ambientali che avrebbero dovuto essere autorizzate dall'A.G. in quanto le riprese sono state effettuate all'interno della farmacia con installazione delle telecamere da parte del titolare, senza darne avviso ai dipendenti, e dopo avere concordato con i Carabinieri la procedura esecutiva. In particolare, le telecamere erano poste "nella parte posteriore del locale farmacia ove venivano ripresi i registratori di cassa ed il locale posteriore interno adibito a spogliatoio personale dei dipendenti". Trattasi, nell'ottica difensiva, di locali rientranti nella nozione di domicilio, nella declinazione proveniente dalla esegesi giurisprudenziale.
2.3. Violazione di legge e correlati vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza delle circostanze aggravanti di cui all'art. 625 n. 2 cod. pen., del danno patrimoniale di rilevante gravità ex art. 61 n. 7 cod. pen., e dell'abuso di relazione di prestazione d'opera ex art. 61 n. 11 cod. pen.
2.4. Con il quarto motivo, è dedotta la prescrizione del reato, considerato il tempus commissi delieti dell'unico episodio addebitabile alla ricorrente, risalente al marzo 2017, e la sospensione conseguente al rinvio disposto su istanza difensiva dal 22/12/2022 al 17/03/2023, pari a giorni 62 (dovendo escludersi a tali fini l'ulteriore rinvio d'Ufficio disposto alla udienza del 24/04/2020), con conseguente prescrizione maturata a novembre 2024, prima della pronuncia, in data 17/12/2024, della sentenza di appello.
2.5. Con il quinto e il sesto motivo sono denunciati vizi della motivazione sotto il profilo del travisamento dei fatti quanto alla ritenuta attendibilità dei testi ed all'interpretazione delle immagini estrapolate dall'impianto di videosorveglianza.
2.6.Con il settimo motivo è denunciata la contraddittorietà della motivazione per mancata individuazione del tempus commissi delicti, che non tiene conto dell'assenza per malattia della A.A., nonché l'errata valutazione della sentenza emessa nel giudizio civile per il licenziamento disciplinare della A.A., senza confrontarsi con le valutazioni espresse sul punto dal giudice di primo grado. Si deduce anche la mancanza di prova dell'entità del danno, ritenuto di rilevante entità, senza adeguata perizia.
2.7. L'ottavo motivo denuncia difetto di motivazione quanto all'esame delle dichiarazioni rese dalla ricorrente in merito al monitoraggio esercitato quotidianamente dal titolare della farmacia attraverso i terminali presenti nei locali della farmacia, alla chiusura di cassa che veniva effettuata dal medesimo titolare, dichiarazioni peraltro riscontrate dalle altre dipendenti della farmacia, colleghe della ricorrente.
2.8. Il nono motivo censura la sentenza impugnata nella parte dedicata al trattamento sanzionatorio. Ci si duole dell'immotivato diniego delle circostanze attenuanti generiche, stante l'incensuratezza dell'imputata e il corretto comportamento post factum, non essendo mai incorsa in ricadute delittuose.
3. Ha depositato memorie l'avvocato Leonardo Lanucara, nell'interesse della parte civile B.B., e ha concluso per la inammissibilità o il rigetto del ricorso, con condanna alla rifusione delle spese del giudizio, come da nota spese depositata.
4. Ha depositato memoria di replica alle conclusioni del P.G. il difensore dell'imputata, che insiste nei motivi di ricorso, altresì, eccependo la inammissibilità dell'istanza di trattazione orale formulata dalla parte civile, nel giudizio di legittimità instaurato con ricorso dell'imputato.
Diritto
Il ricorso, nel complesso, è infondato; per molti aspetti, inammissibilmente declinato.
1. In premessa, va ricordato - a fronte della obiezione difensiva veicolata con la memoria integrativa - che, ai sensi dell'art. 611 co. 1 -bis del codice di rito, il procuratore generale e i difensori delle parti possono chiedere - con istanza irrevocabile - la discussione in pubblica udienza. La richiesta può, quindi, provenire da qualunque parte processuale, mentre il precedente giurisprudenziale indicato nella memoria difensiva (Sez. Un. n. 41461/2002), risulta del tutto inconferente con il tema dedotto
2. Il primo motivo è manifestamente infondato, alla luce del radicato orientamento di questa Corte, dal quale non v'è motivo di discostarsi, che considera ammissibile l'appello del Pubblico ministero che trascriva nel proprio atto d'appello, testualmente e per esteso, le censure proposte dalle parti civili nella richiesta allo stesso presentata ai sensi dell'art. 572 cod. proc. pen., risultando così rispettato il requisito di specificità dei motivi (Sez. 4, n. 14014 del 04/03/2015, Rv. 263016; Sez. 5, n. 41782 del 26/05/2016, Rv. 267864; Sez. 5, n. 38700 del 03/05/2019, n.m.; Sez. 4, n. 26886 del 20/02/2019, n.m.; Sez. 5, n. 25846 del 26/03/2019, n.m.; Sez. 5, n. 32650 dell'11/05/2018, n.m.).
2.1. Nel caso di specie, la ricorrente deduce che il Pubblico ministero avrebbe letteralmente copiato l'appello delle parti civili; ciò non muta i termini della questione, posto che quello che rileva, ai fini della specificità del gravame, è che contenga una critica ragionata e motivata della sentenza impugnata, non rilevando la fonte dello scritto (cfr., sul punto, anche Sez. 4, n. 27824 del 28/04/2009, Rv. 244687, secondo cui è ammissibile il ricorso per cassazione del P.M. che ripeta argomentazioni e deduzioni rinvenibili nel ricorso delle parti private, poiché anche in tal modo il ricorrente, nella piena autonomia che gli compete, assume la paternità di coincidenti e sovrapponibili profili di doglianza; nello stesso senso, Sez. 3 n. 15205 del 15/11/2019 (dep. 2020) Rv. 278915; Sez. 5, n. 7456 del 21/01/2011, n.m.).
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. In premessa deve darsi atto che la sentenza impugnata ha specificamente scrutinato il tema - prospettato dall'appellante - della configurabilità, nel caso di specie, di un luogo di privata dimora (con riferimento al locale guardaroba della farmacia): con ampia argomentazione supportata da estesi riferimenti alla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, la Corte di appello ha, in primo luogo, evidenziato, in punto di fatto, che il locale guardaroba della farmacia era, nel caso di specie, un locale condiviso, in quanto adibito ad ulteriori attività a opera di tutti i dipendenti e con i clienti e non poteva essere fruito da ciascun dipendente (in relazione al titolare e agli altri colleghi) con la pienezza corrispondente a quella del domicilio. A tale osservazione in fatto è seguita un'ampia disamina della giurisprudenza, la quale ha precisato, nella sua più autorevole composizione, che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono, non occasionalmente, atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale, dalla quale si trae il principio che "affinché possa ritenersi la sussistenza di un luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora, sono indefettibilmente necessari i seguenti tre elementi caratterizzanti: a) l'utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, senza il consenso del titolare (Sez. Un. n. 31345 del 23/03/2017, D'Amico, Rv. 270076; da ultimo, Sez. 5, n. 14878 del 20/04/2021, Deeb Hazem, Rv. 280817 - 01; Sez. 2, n. 46208 del 22/09/2023, Silvestris, Rv. 285436 - 01;). Correttamente, la Corte di appello ha escluso che tali presupposti - peraltro neppure specificamente contestati - fossero sussistenti nel caso specifico, così che tale profilo di censura, finalizzato alla inutilizzabilità delle immagini di videosorveglianza, risulta del tutto infondato.
3.2. Quanto alla avvenuta installazione, da parte del datore di lavoro, di una telecamera di videosorveglianza nell'ambiente di lavoro, va detto che, in generale, la videosorveglianza dei dipendenti sul luogo di lavoro, utilizzata per il controllo a distanza dell'attività lavorativa, è vietata dalla legge. Lo Statuto dei Lavoratori sancisce il divieto assoluto di utilizzo di "impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori" (art. 4 L. 300/70). La medesima disposizione è richiamata dall'art. 114 del Codice della privacy (D.Lgs. 196/2003 - Codice in materia di protezione dei dati personali - poi sostituito dal Regolamento generale sulla protezione dei dati -approvato con Regolamento CE, Parlamento Europeo del 27/04/2016 n. 679 , in vigore dal 25 maggio 2018, anche noto come GD.P.R. - General Data Protection Reguiation) e lo stesso codice, all'art. 171, richiama l'art. 38 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero le disposizioni penali applicabili alle violazioni dei divieti contenuti nello statuto (arresto fino a 1 anno e/o ammenda). Le richiamate disposizioni di legge richiedono che l'installazione sia giustificata da specifiche esigenze (per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale") e che i lavoratori siano adeguatamente informati. Nondimeno, nella giurisprudenza si questa Corte si ritiene lecito l'impiego di una telecamera nascosta, non segnalata da cartelli e installata senza il consenso dei sindacati o dell'Ispettorato, se rivolta a controllare uno specifico dipendente nei confronti del quale ci siano già dei validi sospetti di comportamenti illeciti. Si ritengono, quindi, utilizzabili, sia nel processo civile che in quello penale in cui è imputato il dipendente, le registrazioni video realizzate a sua insaputa sul luogo di lavoro per proteggere il patrimonio aziendale. Infatti, le norme dello Statuto dei lavoratori, che pure tutelano la riservatezza dei prestatori, non proibiscono i controlli difensivi sui beni dell'impresa, e, infatti, si è affermato che sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all'interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro, per esercitare un controllo in funzione della tutela del patrimonio aziendale, messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, proprio sul rilievo che le norme dello Statuto dei lavoratori, poste a tutela della riservatezza dei lavoratori non proibiscono i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano l'esistenza di un divieto probatorio (Sez. 2, n. 2890 del 16/01/2015, Sez. 5, n. 34842 del 12/07/2011, Volpi, Rv. 250947; Sez. 5, n. 20722 del 18/03/2010, Baseggio, Rv. 247588-01). La giurisprudenza è tendenzialmente orientata a ritenere che non ricorrono violazioni dell'art. 191 cod. proc. pen., quanto, piuttosto, uno statuto al quale recuperare la forza dimostrativa delle videoriprese, che è collegabile a quello della prova documentale ex art. 234 cod. proc. pen. Si ribadisce, dunque, che non è configurabile la violazione della disciplina di cui agli artt. 4 e 38 legge n. 300 del 1970 - tuttora penalmente sanzionata in forza dell'art. 171 D.Lgs. n. 196 del 2003, come modificato dalla legge n. 101 del 2018 - quando l'impianto audiovisivo o di controllo a distanza, sebbene installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull'ordinario svolgimento dell'attività lavorativa dei dipendenti o resti necessariamente "riservato" per consentire l'accertamento di gravi condotte illecite degli stessi (Sez. 3, n. 3255 del 14/12/2020, dep. 2021, Wang Yong Kg, Rv. 280542; nonché in senso analogo Sez. 1 n. 13649 del 09/09/2021 (dep. 2022), non massimata sul punto). L'impiego della telecamera nascosta non può essere fatto, quindi, né con scopo preventivo né verso soggetti nei confronti dei quali non sussistono sospetti di colpevolezza, e neppure sarebbe possibile fare verifiche "random", a campione. Piuttosto, il tipico esempio scrutinato dalla giurisprudenza - che ha ritenuto ammissibile la installazione della telecamera "nascosta" - è quello finalizzato al controllo nei confronti del cassiere quando, in seguito alle verifiche di cassa, non tornino i conti sugli incassi registrati. Che è esattamente il caso in scrutinio, da ciò discendendo che, in applicazione dei richiamati principi, anche in questo caso le riprese sono utilizzabili ai fini del quadro dimostrativo (Sez. 2, nr. 2890 del 16/1/2015, Boudhraa, Rv. 262288), in quanto l'installazione delle telecamere non si pone quale strumento volto al controllo a distanza dei dipendenti, tale da ledere il loro diritto alla riservatezza, bensì è finalizzato a ottenere la conferma dell'attività illecita che il datore di lavoro aveva il sospetto che si compisse nella sua farmacia e, quindi, per difendere il patrimonio della sua azienda, attività che non può considerarsi illecita (cfr. Sez. II, 22/01/2015, n. 2890, Rv. 262288 in un caso - analogo a quello in scrutinio - in cui il datore di lavoro aveva installato, tramite un investigatore privato, una telecamera nascosta nel suo negozio, dove risultavano degli ammanchi. Dalle videoriprese emergeva che una dipendente, in più occasioni, si impossessava di somme di denaro ricevute dai clienti. Quindi, provvedeva a far installare una telecamera nascosta puntata nella zona della cassa; conf. Sez. II, sent. n. 2890 del 22 gennaio 2015) Il principio che viene in rilievo, quindi, è quello per cui il diritto alla riservatezza del dipendente cede di fronte all'esigenza di tutela contro i furti del datore di lavoro", incentrandosi il discrimen nella finalità per cui l'impianto viene installato sul luogo di lavoro, giacché, come si è detto, la legge vieta la videosorveglianza quando questa sia predisposta per effettuare un controllo a distanza del lavoratore, che è invece consentita quando la installazione delle telecamere è determinata da un controllo effettuato dal datore di lavoro in seguito al quale questi abbia rilevato la mancanza di profitti. In tal caso, infatti, la videosorveglianza non si pone come strumento volto al controllo a distanza dei dipendenti tale da ledere il loro diritto alla riservatezza, bensì per ottenere la conferma dell'attività illecita che si compie nella azienda e quindi per difenderne il patrimonio. Il datore di lavoro, quindi, può ben installare nei locali della propria azienda telecamere per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale, messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, e questo perché le norme dello Statuto dei Lavoratori tutelano sì la riservatezza del dipendente, ma non fanno divieto al tempo stesso di effettuare i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale, e non giustificano pertanto l'esistenza di un divieto probatorio.
4. Non hanno pregio le doglianze riferite allo scrutinio delle circostanze aggravanti contestate.
4.1. nell'imputazione elevata dall'Accusa, vi è espresso riferimento, nella descrizione del fatto, alla destrezza che ha connotato la condotta illecita, dal che è del tutto evidente che la indicazione, nella rubrica dell'imputazione, dell'art. 625 n. 2 costituisce un mero refuso, e che, proprio in ragione di tale evidenza, l'imputata si è potuta adeguatamente difendere dalla contestazione della 'destrezza'.
4.2. Del tutto generiche si presentano le censure afferenti alle altre aggravanti: quanto al danno patrimoniale, la Corte di appello ha posto in rilievo l'entità della sottrazione accertata nel solo breve periodo di monitoraggio registrato (Euro 850); d'altro canto, già il solo dato patrimoniale complessivo relativo alla sottrazione dei prodotti cosmetici e farmaceutici (pari a circa 7.000 euro), indiscusso, integra la contestata aggravante di cui all'art. 625 n. 7 cod. pen. (Sez. 2 ri. 40314 del 03/05/2023, Rv. 285253)
4.3. La ricorrente era alle dipendenze della p.o., relazione che integra oggettivamente la circostanza aggravante di cui all'art. 625 n. 11 cod. pen. che ricorre tutte le volte che l'agente abbia agito abusando di rapporti che implicano una prestazione di lavoro in un cui si instauri un rapporto fiduciario tra le parti, ed essendo esplicitato chiaramente, nell'imputazione, l'elemento qualificante dell'abuso (quale dipendente della farmacia (Omissis).
5. È manifestamente infondata l'eccezione di prescrizione. Deve, invero, considerarsi che, nel caso specifico, l'intera condotta ricade sotto la disciplina della legge c.d. Cirielli (legge 5.12.2005 n. 251), cosicché la prescrizione, in presenza delle indicate tre circostanze aggravanti, fonda l'aggravamento sanzionatorio di cui all'art. 625 comma secondo, venendo, quindi, in rilievo un delitto per il quale è astrattamente prevista la pena della reclusione da tre a dieci anni. In conseguenza, il termine prescrizionale, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pren., è di dieci anni, aumentato di 1/4 (anni dodici mesi sei), a cui devono aggiungersi le sospensioni di giorni 63 (per rinvio richiesto dalla difesa) e di giorni 62 (per l'emergenza sanitaria da 'Covid-19'), non ancora maturato in relazione a un fatto contestato come commesso dal gennaio 2015 al 29/09/2019, sicché, per nessuno degli episodi avvinti dalla continuazione, si è verificata la prescrizione, anche tenendo conto della disciplina dell'art. 159, comma 2, cod. pen. in vigore all'epoca dei fatti, che non consentiva lo spostamento del termine di decorrenza della prescrizione delle singole condotte al giorno in cui è cessata la continuazione.
6. I motivi dal quinto all'ottavo sono tutti inammissibili, perché manifestamente infondati. La Corte di appello si è confrontata specificamente con il profilo relativo all'attendibilità dei testimoni, non limitandosi ad affermare la convergenza del loro narrato, ma valutando le discrasie, che riguardano particolari di poco conto (come evincibile dalle dichiarazioni testimoniali, riportate diffusamente nella sentenza) e, comunque, tenendo conto che il dichiarato è confortato dalle immagini della videocamera interna, che confermano specificamente alcuni dei fatti narrati e conferiscono complessiva attendibilità alle propalazioni dei testimoni.
6.1. Viene, correttamente, evidenziato che la sistematica ripetizione giornaliera, negli anni, di episodi identici, rende comprensibilmente difficoltosa la focalizzazione di elementi distintivi, peraltro a significativa distanza di tempo.
6.2. Priva di specificità la deduzione incentrata sul contenuto dichiarativo delle colleghe della ricorrente, le testi Morleo e Cosma, che si sostiene non avrebbero visto l'imputata sottrarre denaro, giacché la ricorrente oblitera il dato, evidenziato nella sentenza impugnata, che esse abbiano, invece, affermato esattamente il contrario. La sentenza riporta tale dato, acquisito dopo la escussione, nel giudizio di secondo grado, delle colleghe della ricorrente, attività istruttoria resasi necessaria proprio per maggiormente specificare le circostanze poste a fondamento dell'accusa e ritenute insufficienti dal primo giudice. Viene anche evidenziata la circostanza constatata dalla collega C.C., che ha riferito di avere visto la A.A. riporre nel cassetto del registratore di cassa cento Euro e prelevarne in cambio banconote per 150 euro.
6.3. Risulta, dunque, totalmente infondato l'assunto di una superficiale ponderazione delle dichiarazioni dei testi escussi, che, invece, sono state fatto oggetto di un attento, puntuale, argomentato scrutinio da parte della Corte di appello.
6.4. Quanto alle immagini dell'impianto di video-sorveglianza, inammissibile è il tentativo di confutare il contenuto dei files video attribuendo finanche connotazioni di falso a quanto affermato nella sentenza, che riporta in realtà quanto osservato dalla persona offesa dopo che, decisasi finalmente ad indagare sugli ammanchi rilevati, ha proceduto all'installazione delle telecamere e all'esame delle immagini registrate.
6.5. Ancora, riguardo alla assenza dal lavoro per malattia della A.A., si profila come del tutto irrilevante, ai fini del giudizio sulla sua responsabilità, il periodo di assenza, nel momento in cui la Corte di appello ha rimesso al giudice civile la determinazione del quantum del risarcimento, mentre è chiaro come ai fini della sussistenza del reato continuato, detta circostanza risulti priva di rilievo.
6.6. Con riguardo alla sentenza sul giudizio disciplinare, la Corte di appello ha posto in rilievo il dato della conferma della legittimità del licenziamento per giusta causa da parte del giudice civile, in tal modo, rendendo chiare le ragioni del dissenso rispetto agli argomenti posti a fondamento della decisione assolutoria da parte del giudice di primo grado, che ha, illogicamente, valorizzato dati ritenuti in appello inconferenti.
6.7. Infine, riguardo alle dichiarazioni dell'imputata, il motivo propone valutazioni inerenti esclusivamente al merito dell'interpretazione della fonte dichiarativa, peraltro, reiterando deduzioni già confutate dalla sentenza impugnata, nella parte in cui riporta le contrarie indicazioni che emergono dal dichiarato dei testi e della parte civile che sconfessano le asserite consegne "a mano" nei confronti della farmacia 'Cavallo'.
6.8. Ma in tal modo, la difesa ricorrente si propone di far emergere come maggiormente preferibile la propria ricostruzione dei fatti e delle fonti di prova, laddove la selezione dei fatti e delle situazioni rilevanti è attività propria del giudice del merito e, quando l'interpretazione di essi è sorretta da una adeguata motivazione, continua a essere incensurabile nel giudizio di legittimità, anche dopo la riforma che ha novellato l'art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen. (art. 8 L. n. 46 del 2006), tenuto anche conto del fatto che la valutazione della prova non può essere disancorata dal contesto in cui è inserita e che un simile compito non può spettare al giudice di legittimità, sulla base della lettura necessariamente parziale suggerita dal ricorso per cassazione (Sez. 6, 24 marzo 2006, n. 14054, Rv. 233454). A ciò deve aggiungersi che neppure l'emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata può comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, allorché le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo 3 (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M e altri, Rv. 271227), posto che dà luogo a vizio della motivazione non qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma solo quello che sia idoneo a disarticolare uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione, quale risultante dall'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico; Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, P.M. in proc. Maniscalco ed altri, Rv. 212053). A fronte, quindi, di un congruo corredo argomentativo, che non denuncia evidenti illogicità, le critiche del ricorrente all'uso del detto materiale probatorio, si risolvono in una censura alla ricostruzione di fatto che, invece, il giudice del merito ha operato rispettando i parametri della razionalità e completezza, mentre la Difesa si limita a formulare un giudizio di insufficienza del materiale probatorio uguale e contrario a quello, del tutto plausibile, reso dal giudice del merito: è quest'ultimo che deve rimanere fermo, non essendo consentito alla difesa prospettare le ricostruzioni alternative derivanti dal materiale probatorio. In sintesi, "il ricorso non offre (così come impone la osservanza del principio di autosufficienza, v. Cass., Sez. I, 29 novembre 2007, n. 47499, Chialli, massima n. 238333; Sez. Feriale, 13 settembre 2007, n. 37368, Torino, massima n. 237302; Sez. VI, 19 dicembre 2006, n. 21858, Tagliente, massima n. 236689; Sez. I, 18 maggio 2006, n. 20344, Salaj, massima n. 234115; Sez. I, 2 maggio 2006, n. 16223, Scognamiglio, massima n. 233781; Sez. I, 20 aprile 2006, n. 20370, Simonetti, massima n. 233778) la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati (Cass., Sez. I, 14 luglio 2006, n. 25117, Stojanovic, massima n. 234167 e Cass., Sez. I, 15 giugno 2007, n. 24667, Musumeci, massima n. 237207)" (parte motiva della decisione della Sez. 1, Sentenza n. 54281 del 05/07/2017, Tallarico, Rv. 272492 - 01). Le censure afferenti al giudizio di responsabilità, alla fine, censurano non la ragione, ma l'esito decisorio, risolvendosi i motivi in un dissenso 'decisionale, inidoneo, come tale, a segnalare in questa sede precarietà logiche della decisione impugnata o, peggio, vuoti di motivazione sui punti interessati. La Corte di appello ha corredato la decisione con una solida struttura argomentativa, con la quale il ricorso non si confronta realmente, limitandosi a sostenere le proprie ragioni difensive in modo incoerente con i risultati dibattimentali, secondo uno schema deduttivo inammissibile, per le ragioni anzidette, e per la genericità estrinseca derivata dalla a-specificità (sul tema, cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sannmarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; vedi, altresì, più di recente, Sez. 2, n. 42046 del 17/7/2019, Boutartour). A fronte di una motivazione conforme ai criteri fissati dall'art. 192, c.p.p., che impone una valutazione unitaria e non atomistica della prova, principio cardine del processo penale (cfr. Cass., sez. VI, 28.9.1992, n. 10642, rv. 192157), le doglianze difensive sul punto (peraltro di natura prevalentemente fattuale), non colgono nel segno, anche perché fondate su di una rappresentazione parcellizzata e parziale delle risultanze processuali, che evita il raffronto con il complessivo quadro istruttorio (cfr. Cass., sez. VI, 8.11.2012, n. 45249, rv. 254274). I motivi risultano, in conclusione, inammissibili risolvendosi in doglianze non consentite dalla legge in questa sede, in quanto relative, non già alla motivazione, perché mancante o contraddittoria o illogica, bensì alla valutazione probatoria.
9. Anche il nono motivo è inammissibile. La motivazione in punto di trattamento sanzionatorio e diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche è corretta, congrua e logica. La Corte di appello ha evidenziato la gravità del fatto - commesso dall'imputata tradendo la fiducia risposta dal datore di lavoro nell'ambito di un rapporto di lavoro trentennale, cagionando un danno economico di oggettiva rilevanza; ha sottolineato le ragioni per cui la personalità dell'imputata risulti allarmante, per l'impudenza dimostrata, a dispetto di uno stato di incensuratezza evidentemente ritenuto recessivo, infine, dando atto dell'assenza di elementi positivamente apprezzabili.
9.1. Invero, va ricordato che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), e che si è ripetutamente affermato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è sufficientemente motivato anche con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008,n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
10. Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle sostenute nel giudizio di legittimità dalla costituita parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro cinquemila, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, 04 giugno 2025 Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2025
Legge 8 agosto 2025 n. 118 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 giugno 2025, n. 95, recante disposizioni urgenti per il finanziamento di attivita' economiche e imprese, nonche' interventi di carattere sociale e in materia di infrastrutture, trasporti ed enti territoriali.